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Fotografia.it
Giorgio Galimberti

Le code della balene

La passione e il talento di Giorgio Galimberti

Intervista a un apprezzato fotografo di Street: la sua visione e cosa pensa della fotografia di strada.

Redazione fotografia.it | 7 Settembre 2025

La visione di Giorgio Galimberti si concentra sugli effetti della luce sui corpi e sui paesaggi urbani, unendo elementi di street photography con un linguaggio moderno e narrativo.

Hai percorso vari generi di fotografia, ma personalmente trovo interessante la tua zampata da fotografo di strada. Come e quando e nata?

La fotografia di strada è arrivata nella mia vita in punta di piedi. All’inizio era soltanto un gioco, un hobby che mi permetteva di perdermi nelle città e di trovare in esse un senso di libertà. Poi, poco a poco, la mia curiosità, la mia ostinazione e il mio istinto hanno trasformato quel gioco in un dialogo silenzioso con la strada e con le persone che la vivono.
Oggi sento che ogni mio scatto nasce da quell’incontro imprevisto tra me e la strada, dove nulla si lascia controllare ma tutto si può intuire; questa impronta di fotografo di strada la porto in ogni mia immagine, ma soprattutto nell’ approccio che nel quotidiano ho con la vita.

Giorgio Galimberti

Le tue fotografie di Visioni Urbane scattate a Napoli hanno un carattere cosi forte e deciso che sembrano quasi fatte da uno scugnizzo napoletano, eppure tu sei nato a Como. Com’è possibile questo?

Fotografare a casa propria è più semplice: si conoscono la luce, le persone, i ritmi nascosti di un luogo che senti tuo, ma arrivare in una città come Napoli è un’esperienza che ti sorprende e ti travolge, a volte ti spiazza.
La storia di questa città, la sua energia la sua intensità iconografica ti entra nella pancia e ti costringe a guardare con occhi nuovi, a lasciarti guidare più dall’istinto che dall’abitudine. Napoli, con la sua forza, ha saputo accarezzare il mio sguardo prima ancora che io potessi comprenderla davvero. Questa è la magia della fotografia di strada.

Giorgio Galimberti

Parlaci di una tua fotografia a cui sei molto legato.

Una è quella delle code di balene a Camogli. È nata per caso quando, durante una passeggiata romantica con la mia fidanzata, ho visto una meravigliosa installazione con due code di balena sulla scogliera: ho deciso di usarla come coreografia e da lì è nata una serie di immagini che sarebbero poi diventate iconiche nel mio percorso.
Quell’immagine ha dato vita a diverse versioni, quasi in un racconto a capitoli. La prima realizzata nel 2018 mostra una donna che cammina tra le balene e ha avuto un ottimo riscontro da parte delle gallerie e un enorme successo nei social media, ma ad essere sincero non mi ha mai entusiasmato. La seconda invece, realizzata pochi giorni prima del lockdown, mostra Ilaria dentro la coda della balena: è un’immagine sospesa, poetica, che parlava di sogno, ma anche di prigionia.
Col senno di poi, ha assunto un significato ancora più forte, come se avesse anticipato quel senso di chiusura e di attesa che avremmo vissuto di lì a poco. Questa è diventata la mia immagine più iconica.
Ammetto che quando sono a Camogli mi diverto a realizzare sempre delle nuove versioni, si torna sempre nei posti dove si è stati bene.

Giorgio Galimberti

Chi e cosa ti ha in-segnato più nella fotografia?

Sicuramente la persona che mi ha avvicinato alla fotografia è stato mio padre, Maurizio; per l’amore e il rispetto che ha sempre avuto nei confronti della fotografia è riuscito a trasmettermi la stessa passione. In casa nostra la fotografia è stata senza dubbio una sorta di religione: l’abbiamo amata, venerata, e oggi sia io che mia sorella Valentina lavoriamo in questo ambito. Anche mio figlio Tommaso sta studiando fotografia e quindi posso dire che sia diventata una tradizione che si tramanda di generazione in generazione.
Un ruolo fondamentale lo hanno avuto anche la mia curiosità e la mia passione personale: visitare mostre, leggere libri, cercare sempre nuovi stimoli e conoscenze per arricchire il mio bagaglio culturale. Tutto questo, credo, mi ha reso e continua a rendermi un fotografo migliore.

Giorgio Galimberti

Da quale essenza trae forza il tuo lavoro?

Dalle emozioni che provo, che non sempre sono spensierate; nei momenti difficili ho sempre cercato serenità nella fotografia, che addolcisce il mio sguardo.

Nella fotografia, soprattutto in quella di strada, l’autore cerca qualcosa che gli manca. Cosa manca, a Giorgio Galimberti, cosa cerca?

La fotografia è per me innanzitutto un modo per esprimermi, mi permette di raccontare le mie emozioni, di trasformare in immagini quello provo, quello che vivo.
Ciò che mi manca è la serenità; sono alla continua ricerca di qualcosa che mi faccia stare bene, che mi dia pace; la fotografia diventa allora lo strumento che mi permette di difendermi dalla durezza del quotidiano e di trovare il mio rifugio.

Giorgio Galimberti

Cosa ami e cosa detesti del tuo lavoro?

Amo la forza della fotografia, la possibilità di esprimere e raccontare quello che sono attraverso uno strumento semplice e universale come l’immagine. Una fotografia non ha bisogno di traduzioni, parla a tutti, ovunque del mondo. Amo la possibilità di creare documenti universali che non solo raccontino qualcosa di me, ma mostrino anche il mio sguardo sul mondo.
Del mio lavoro, invece, detesto l’ansia da prestazione; ogni volta che scatto o affronto un nuovo progetto, sento la difficoltà di dover realizzare qualcosa all’altezza. Spesso non riesco ad apprezzare quanto scatto, mi serve tempo per accettarlo e per riconoscerne l’eventuale valore.

Giorgio Galimberti

Cosa ne pensi dell’ambiente della fotografia contemporanea?

La fotografia contemporanea copre un campo molto vasto; c’è chi la vive unicamente come un mezzo di lavoro e chi, invece, pur lavorandoci, cerca di mantenere una propria cifra stilistica, usandola come linguaggio personale.
Credo che la fotografia oggi sia viva come non mai: basti pensare a come un’immagine possa comunicare senza bisogno di traduzione, raccontare tutto in un istante. Tanti giovani si avvicinano alla fotografia grazie anche agli smartphone e ai social media che hanno contribuito a renderla parte della vita quotidiana. Per questo sono convinto che la fotografia abbia davanti a sé una lunga vita, sia sempre vitale e in continua evoluzione.

In definitiva, cosa significa per te la fotografia?
Passione, amore, vita… tutto.

Se tu potessi mettere in paradiso, in purgatorio e in inferno tre fotografi. Quali sceglieresti?

In paradiso metto André Kertész, perché è stato il mio faro, il mio più grande ispiratore.
In purgatorio metto Cartier-Bresson, che così scende un poco dal piedistallo e torna tra noi comuni mortali.
All’inferno mando Oliviero Toscani perché ha rivoluzionato la fotografia in modo geniale… ma ne ha fatto un uso “diabolico”.

Giorgio Galimberti

Parlaci del tuo ultimo progetto fotografico, o di quello che ti sta più a cuore.

Il mio lavoro è in continua evoluzione. Più che parlare di un progetto preciso, preferisco ragionare in termini di percorsi e di serie di immagini che, messe insieme, compongono quello che è il mio lavoro.
Personalmente trovo che il termine progetto sia un po’ una gabbia per i fotografi: preferisco lavorare sull’atmosfera, sul racconto che nasce dall’insieme delle immagini piuttosto che costringere la fotografia dentro a un contenitore rigido.

In fine, come mio solito, lascio che l’intervistato mi faccia lui una domanda.

E´ vero che le persone che si occupano di cultura fotografica avrebbero voluto essere dei buoni fotografi?

Adoro le provocazioni! Sì, in alcuni casi credo sia proprio cosi. Però come ben sai le verità sono tante e tutte diverse; ad esempio potremmo dire che la cultura è la sola creatrice dell´opera, che chi possiede facoltà critica in ambito artistico non vive una condizione surrogata bensì dignità autoriale uguale a chi produce fisicamente l´opera. Il problema, se cosi lo vogliamo chiamare (forse sarebbe meglio dire “stato di frustrazione”), riguarda chi non riesce ad affermarsi come fotografo e non ha la preparazione per fare critica. Quando si disquisisce di fotografia lo si fa stando in un campo da gioco che si chiama “estetica” e chiunque può farlo, purchè conosca la storia dell´arte. 

Giuseppe Ferraina

Chi desidera proporre la propria ricerca  per la pubblicazione in QUARTIERE su Tutti Fotografi può contattare giuseppe.ferraina@fotografia.it

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