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Fotografia.it

Occhi chiusi: esprimi un desiderio.

Redazione fotografia.it | 19 Agosto 2025

Questa serie di ritratti è stata realizzata in un momento della mia vita e della mia carriera in cui ho sentito il bisogno di un radicale cambio di direzione nella mia pratica fotografica, e di riparare o almeno ridurre il senso di impermanenza a cui il flusso di lavoro digitale mi aveva abituato.
Tecnicamente, ho deciso di imporre a me stesso forti limiti di “velocità”: ho usato una macchina fotografica di grande formato 4×5” in legno, caricata con carta positiva diretta a 3 ASA.

La scelta di lavorare con la carta invece che con i fogli di pellicola negativa è stata dettata principalmente dal desiderio di creare un’immagine, finita e tangibile, direttamente nella macchina fotografica, un’immagine che potessi sviluppare a mano nel modo più semplice e organico possibile: sul posto, in un piccolo vassoio, usando il caffè come agente di sviluppo.

Ritratti e occhi chiusi

Concettualmente, ho deciso di esplorare un’idea che mi incuriosiva da tempo: il ritratto di persone con gli occhi chiusi.
Sia nella ritrattistica che nella vita, gli occhi svolgono un ruolo importante nel comunicare le nostre emozioni e nell’interagire socialmente con gli altri.  Gli occhi sono il punto focale e l’indicatore emotivo più forte quando si osserva un volto, per cercare di capire o definire la persona che si cela dietro quel volto.
Eppure, quando chiudiamo gli occhi, il nostro portale per le connessioni umane e la realtà, potrebbe aprirsi un nuovo universo potenziale: l’universo del subconscio, o forse l’anticamera di un mondo ultraterreno.
Gli occhi chiusi infrangono una regola della ritrattistica: non c’è connessione oculare reciproca tra il soggetto fotografato e l’osservatore della foto, non si possono indovinare le emozioni del soggetto. La persona che guardiamo nella fotografia potrebbe essere addormentata o addirittura morta.

Un biglietto “in memoriam”

Nel corso della mia carriera, le uniche foto con gli occhi chiusi che mi è stato chiesto di scattare sono state nella Repubblica Dominicana. Si trattava di foto di persone morte, che riposavano in una bara, persone che non avevano posseduto nessun’altra fotografia di loro stessi in vita.
Le mie immagini dovevano essere utilizzate per produrre il consueto “recordatorio”, un piccolo biglietto “in memoriam”. stampato a basso costo con la loro foto, la data di nascita e di morte e un salmo della Bibbia.
Il “recordatorio” viene solitamente distribuito come umile dono, tra le persone che partecipano al funerale e ai nove giorni di lutto.

La mia serie di ritratti a occhi chiusi

Non è stata quindi una scelta casuale quando ho deciso di scattare questa serie di ritratti a occhi chiusi nella Repubblica Dominicana. Il luogo in cui mi sono recato è un piccolo borgo, vicino al confine con Haiti, dove è nata mia moglie, un luogo che avevo fotografato periodicamente nei dieci anni precedenti.
Una parte importante dell’esperienza di scattare questa serie di ritratti è stata la possibilità di trascorrere molto tempo con tutti i miei soggetti. Il tempo scorre in modo diverso a New York e in questa parte del mondo. Ho potuto fare lunghe e piacevoli chiacchierate con ognuno di loro, giovani e anziani, spiegare cosa stavo facendo e spesso ridere insieme.
Poi chiedevo loro di chiudere gli occhi ed esprimere un desiderio, per farli concentrare su qualcosa di fortemente intimo e personale mentre scattavo il loro ritratto.

Poca acqua, tanta polvere: una situazione difficile per un fotografo

In oltre due settimane di riprese, ho dovuto affrontare notevoli problemi ambientali: non pioveva da oltre quattro mesi, quindi le tempeste di polvere quotidiane contaminavano tutta la mia attrezzatura; la totale mancanza di acqua corrente mi costringeva a prenderla a secchiate, dal fiume, per lavarmi, mangiare e sviluppare le mie fotografie.
Nel frattempo, un implacabile blackout elettrico mi isolava efficacemente dal “mondo civile” (niente cellulari/Internet) ma mi aiutava anche a sviluppare le mie pellicole, quando, di notte, l’intera città si trasformava in una camera oscura ambientale.

Un ritratto a occhi aperti

All’avvicinarsi della partenza, quando i miei ritratti erano diventati un numero consistente, accadde un fatto tragico: la madre di mia moglie, molto anziana ma relativamente sana, morì improvvisamente.  Addolorati, siamo riusciti a organizzare il suo funerale e i nove giorni di preghiera, ancora consueti nelle zone rurali della Repubblica Dominicana.
Quando era viva, diceva sempre che dovevo essere io a scattare le foto per il suo “recordatorio”. Non era mai stata fotografata prima che io la conoscessi, dopo aver sposato sua figlia, ed era sempre molto felice e soddisfatta quando tiravo fuori la macchina fotografica e la fotografavo in casa.
Scelsi una foto che avevo scattato qualche anno prima, quando era un po’ più giovane, e la feci trasformare in un “recordatorio”. In quella foto lei sorrideva e aveva gli occhi aperti.

La mostra
L’ultimo fotografo. Giovanni Savino
Inaugurazione: 6 settembre ore 18
Palazzo Fani. Via della libertà 24, Tuscania
Orari
Pomeriggio: dalle 17 alle 19:30
Sabato-domenica dalle 10 alle 12:30

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