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Fotografia.it

All'inizio del 1975, mi chiamò Imogen Cunningham, amica di Ansel Adamas, dicendomi che era stata incaricata dalla rivista People di fotografare Ansel per un articolo della loro sezione Arte. Quando ci incontrammo disse "Ansel, ho intenzione di fotografarti e tu fotograferai me." Lui rispose che sarebbe stato felice di posare per lei, ma che era piuttosto impegnato per scattare. Imogen insistette e alla fine Ansel Adams mi disse: "Va’ a prendere l'Hasselblad”. Credo che questa immagine esprima perfettamente l'esasperazione di Ansel Adams!

Alan Ross: un ritratto inedito di Ansel Adams

Maestro della fotografia e insegnante, la sua visione unisce tecnica tradizionale e tecnologia attuale. Una visione che Alan ha affinato lavorando fianco a fianco con Ansel Adams come suo assistente e partecipando alla realizzazione dei suoi libri. Alan è stato scelto personalmente da Ansel Adams come stampatore esclusivo dei suoi negativi, un incarico che dura da 45 anni.

Redazione fotografia.it | 24 Maggio 2020

Ci racconti la tua esperienza di lavoro con Ansel Adams?
Era una delle persone più gentili, divertenti e brillanti che io abbia mai incontrato. Nei quasi undici anni trascorsi collaborando regolarmente con lui, non l’ho mai visto perdere la pazienza e non ha mai lasciato che il successo gli desse alla testa; ha sempre permesso che il suo numero di telefono fosse pubblicato negli elenchi telefonici e amava condividere le sue conoscenze della fotografia. Quando ho iniziato a lavorare per lui, aveva appena fatto alcuni importanti lavori di ristrutturazione di quella chiamavamo The Work Room (il luogo in cui conservava le sue stampe); di conseguenza c’erano scatole e scatole di stampe e attrezzature accatastate intorno alla casa e fuori dal box auto. Il mio compito era di mettere in ordine tutto questo e nel farlo ho potuto capire come la gran parte del suo lavoro fosse semplicemente normale e come questa consapevolezza non gli desse alcun fastidio.
Avendo da piccolo desiderato fare il pianista, Ansel Adams considerava gli errori, o un risultato modesto, al pari del “fare le scale”, ovvero parte del processo di crescita. E questo era il suo approccio alla fotografia, così diverso da quello che molti hanno descritto come fanatismo tecnico. Il suo Sistema Zonale e le sue prove possono essere assimilate a quelle di un musicista che cerchi di evitare una nota sbagliata. Il suo modo di pensare ha avuto una grande influenza su di me, nel senso che ho capito come ogni sperimentazione abbia un proprio valore.
Grande importanza ha avuto per me poter lavorare insieme a lui in camera oscura. Guardarlo esporre un foglio di carta sotto l’ingranditore era come vedere un balletto: ogni movimento era fluido e controllato, mai frenetico come capita di vedere in certi film. Non usava nemmeno il timer per calcolare l’esposizione, ogni stampa era come scandita dal ritmo di un metronomo; se voleva aumentare l’esposizione di 7 secondi nell’angolo di una stampa, in quell’angolo l’esposizione aumentava esattamente di 7 secondi, non 6 secondi e mezzo, oppure 8.

In un certo senso, l’approccio allo scatto, allo sviluppo e alla stampa del Sistema Zonale è molto simile alla tecnica di “scattare per i dati” che si usa nella fotografia digitale. Quanto è importante oggi?
Confesso che il termine “Scattare per i dati” è nuovo per me, ma sicuramente ha senso. Più informazioni si hanno in un file, meglio è. Si può scegliere di non utilizzare i dettagli registrati, ma se le informazioni mancano non c’è nulla da utilizzare!
Realizzare un’immagine digitale di qualità è difficile tanto quanto stampare una foto analogica di qualità. Le difficoltà sono diverse. Si può produrre una stampa terribile dal miglior negativo o scatto digitale, così come un negativo o uno scatto digitale “perfetti” possono essere di una noia mortale se la stampa non sa interpretarli. Un esempio del primo caso è la mia fotografia Bridalveil Fall in Storm che Ansel ha definito la mia “Gioconda”. Scattai la foto tre giorni dopo che Ansel Adams mi aveva assunto per il seminario del 1974 e sviluppai il negativo poche ore dopo lo scatto. Non avrei potuto fare un negativo migliore, ma la semplice stampa è solo un’istantanea; la stampa con la quale invece ho interpretato quello che avevo visualizzato al momento della ripresa è una delle mie opere migliori.
Ansel Adams amava dire: “The negative is the score, and the print is the performance”, che potremmo interpretare come “Il negativo raccoglie le informazioni, è la stampa che dà vita alla fotografia”.
Il mio approccio tanto nella fotografia analogica quanto in quella digitale è di ottenere il maggior numero di informazioni possibile; in analogico l’unica cosa che non può essere corretta in stampa è la sotto-esposizione perché se i granuli d’argento non sono stati raggiunti da luce sufficiente non c’è nulla da sviluppare, e niente da stampare. In diapositiva e con il digitale, con la sovra-esposizione i dettagli tendono a scomparire.
Per quanto riguarda il mio editing del bianconero è ora quasi del tutto digitale; sviluppo il negativo in modo tradizionale (le lastre in bacinella e la pellicola in tank) e una volta che la pellicola è asciutta ne faccio la scansione, senza fare l’inversione negativo-positivo. La scansione la effettuo a una risoluzione sufficientemente elevata da poter valutare la qualità dell’immagine e, avendo anche la versione negativa, posso rendermi conto di quanti dettagli ci sono nelle ombre su pellicola. Regolo l’esposizione e l’istogramma in modo che la scansione registri tutte le tonalità dell’immagine, dalle ombre più dense fino alle alte luci. Successivamente duplico il livello sfondo in Photoshop e inverto l’immagine in positivo: non ricordo l’ultima volta che ho fatto una tradizionale stampa a contatto in camera oscura!

Durante il terzo viaggio alle Great Sand Dunes ho trovato una tempesta di sabbia davvero forte! Queste dune sono davvero enormi tanto che ci potrebbero volere due ore per scalare quella più grande (non l’ho mai fatto!). La luce era così forte che con la pellicola da 100 ISO che stavo usando non potevo impostare un tempo abbastanza lungo da chiudere il diaframma a sufficienza per avere la profondità di campo che avrei voluto; d’altra parte con la sabbia sollevata dal vento anche il soggetto non era nitido! Ho puntato sul gioco delle forme e dei toni. Mi sono tolto la sabbia dalle orecchie per giorni!

Come hai conosciuto Ansel Adams?
Il mio primo contatto con la fotografia l’ho avuto a circa 12 anni quando incontrai su un autobus un mio compagno di scuola che mi mostrò la provinatura di un rullino 35mm stampato a contatto. Ne rimasi incuriosito e gli chiesi dove l’avesse preso: mi risposte che suo padre era fotografo e che quella provinatura l’aveva stampata lui stesso! Tornato a casa, tirai fuori la vecchia Rolleicord di mio padre e quella stessa settimana sviluppai il mio primo rullino! E a Natale ricevetti in regalo una fotocamera Kodak di plastica 35mm con i diaframmi e i tempi di posa. Al liceo frequentai degli amici anch’essi appassionati di fotografia e l’anno successivo feci la pazzia di comprare una Nikkormat!
La fotografia era diventata parte della mia vita.
All’università mi iscrissi a ingegneria meccanica, ma cambiai presto il corso di studi quando scoprii che l’università di Berkeley aveva un dipartimento di design ispirato alla Bauhaus e con dei corsi di fotografia. Era la scelta perfetta per me. A Berkeley incontrai anche il mio primo mentore; il nuovo direttore del dipartimento, William Garnett, era un fotografo che aveva ricevuto tre borse di studio Guggenheim per il suo lavoro pionieristico sulla fotografia aerea come forma d’arte.
Mi ero appena laureato che ebbi il colpo di fortuna di diventare assistente di Halberstadt che mi fece passare dal mondo del bianconero a quello dell’Ektachrome con fotocamere 8×10”. “Hal” e Ansel Adams erano amici e, quando io rimasi senza lavoro nel 1973 perché “Hal” era andato in pensione chiudendo lo studio, decisi di scrivere a Ansel Adams chiedendogli se avesse bisogno di un assistente. Questa fu la sua risposta: “Al momento non ho bisogno di un altro assistente, ma poiché hai lavorato per Halberstadt senza farti buttare fuori dalla porta, mi farebbe piacere che mi facessi da assistente nei workshop della Ansel Adams Gallery a Yosemite.” Dopo i workshop del 1973, l’anno seguente gli feci da assistente in un altro paio di seminari e gestii la camera oscura finchè nel luglio del 1974 mi chiese se fossi interessato a trasferirmi a Carmel (in California) per lavorare nel suo studio a tempo pieno! Ansel Adams aveva già un assistente fisso (Ted Orland) che lavorava dal lunedì al venerdì ed io avrei dovuto lavorare dal venerdì al lunedì. Ovviamente accettai e quando Ted decise di avviare un’attività in proprio del 1975 io divenni assistente a tempo pieno, fino alla metà del 1979 quando decisi di aprire il mio studio pubblicitario, tornando a San Francisco. Durante il periodo di lavoro come assistente Ansel Adams mi aveva incaricato di stampare i suoi negativi della Special Edition Prints of Yosemite e apprezzava tanto il modo in cui curavo la stampa che mi chiese di continuare anche se mi ero trasferito a San Francisco. Mi sono quindi ritrovato a “fare il pendolare”, passando il fine settimana a Carmel una volta al mese per cinque anni.
Ansel Adams morì nel giorno di Pasqua del 1984 e poco prima gli avevo mandato in ospedale delle prove di stampa per la sua approvazione. E con il 2020 saranno 45 gli anni in cui ho stampato in esclusiva i suoi negativi! Ogni volta che inserisco uno di quei negativi nell’ingranditore mi sembra di ritrovare un vecchio amico.

L’intervista completa ad Alan Ross è disponibile in download gratuito su fotografiastore!

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