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Fotografia.it
Duane Michals, Two models in an office looking at negatives

Duane Michals, Two models in an office looking at negatives, 1976, Vogue, © Condé Nast

Chronorama: la fotografia riflette e influenza la realtà

Una grande mostra a Venezia per ammirare gli scatti dei grandi autori del secolo scorso custoditi negli archivi Condé Nast e capire meglio l’impatto della fotografia sulla nostra società. In modo inaspettato.

Enzo Dal Verme | 19 Settembre 2023

C’è una mostra straordinaria da visitare a Venezia, si chiama Chronorama ed espone 419 opere realizzate tra il 1910 e il 1979. Sono frammenti del passato che provengono dagli archivi della casa editrice Condé Nast, in parte acquisiti dalla Pinault Collection nel 2021. Un flusso di immagini che ci trasporta in un viaggio nel tempo con un distillato delle trasformazioni che si sono avvicendate nel mondo occidentale.

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Jack Robinson, Joe Dallesandro, 1970, Vogue © Condé Nast

Le foto sono ordinate cronologicamente per decadi e mostrano – tra l’altro – momenti storici, vita quotidiana, sogni e drammi del 20esimo secolo.
Osservare uno di fianco all’altro i ritratti scattati da Edward Steichen, Diane Arbus, Horst P. Horst o Irving Penn e altri fotografi leggendari, aiuta a renderci conto di come sia cresciuta l’importanza della fotografia nella nostra società durante il secolo scorso.

Il punto di svolta dal quale parte l’esplorazione ha luogo nel 1909, quando il giovane e ambizioso editore Condé Montrose Nast acquista un settimanale dalla modesta tiratura: Vogue.

La rivista era stata fondata nel 1892 e quasi abbandonata dopo la morte del suo creatore Arthus Baldwin Turnure. Ben presto Condé Nast trasformò Vogue in una pubblicazione rivolta a una clientela d’élite – o aspirante tale – destinata a diventare la rivista più famosa e influente del mondo, nonché un punto di riferimento per l’editoria.

Visitando la mostra curata da Matthiew Humery, non solo possiamo ammirare le stampe di autori illustri (e altri sconosciuti al grande pubblico), ma riusciamo a percepire come nel secolo scorso il mondo occidentale abbia cominciato ad utilizzare la potenza dell’immagine anche per influenzare la cultura e plasmare i gusti e le opinioni del pubblico. E la casa editrice Condé Nast ha ricoperto un ruolo fondamentale nel processo.

L’esposizione a Venezia inizia con le prime immagini pubblicate su Vogue. Non erano ancora fotografie, ma disegni. Seguendo il percorso possiamo assistere al rapido declino delle illustrazioni a favore della fotografia. Una evoluzione che – apparentemente – ha aumentato la fedeltà della rappresentazione della realtà, ma in pratica ha perpetuato una visione idealizzata del mondo.

Le fotografie apparse sulle pagine di Vogue e delle altre testate Condé Nast, infatti, fin dall’inizio hanno rispecchiato gli avvenimenti correnti rivolgendosi ad una élite finanziaria e culturale occidentale con una spiccata tendenza mondana. Pur evolvendosi e poi democraticizzandosi, la scelta delle immagini, il taglio editoriale e l’evoluzione estetica nel tempo sono rimasti fedeli a quel pubblico. L’aspetto fondamentale che la mostra a Palazzo Grassi ci ricorda è che le fotografie delle testate Condé Nast non solo descrivono la realtà (osservata da un determinato punto di vista), ma negli anni l’hanno a loro volta influenzata poiché sono diventate dei riferimenti a cui ispirarsi ed hanno contribuito a creare un immaginario collettivo.

ADOLF DE MEYER
Adolf De Meyer, Young girl sitting on a small table beside a globe, 1919, Vogue © Condé Nast table beside a globe, 1919, Vogue © Condé Nast

Nessuna rivista seppe documentare ed influenzare l’effervescenza dei Roaring Twenties meglio di Vogue e di Vanity Fair (che Condé Nast aveva fondato nel 1913). Negli anni ’30, conciliare il carattere leggero della rivista con un contesto internazionale sempre più minaccioso (il crollo della borsa di New York, l’ascesa del fascismo in Europa) sembrava una sfida impossibile. Tuttavia, Vogue decise di concentrarsi sulla gioia di vivere come una sorta di prodezza di fronte all’ineluttabile. Edna Woolman Chase, caporedattrice di Vogue dal 1914 al 1952, più avanti commentò: “Nel mondo che cercavamo di riflettere sulle nostre pagine, i più fortunati, colti e sofisticati erano morti e impoveriti proprio come tutti gli altri. L’angoscia non conosceva frontiere.”

Durante la seconda guerra mondiale Vogue accolse una serie di autori costretti a lasciare l’Europa (per esempio Erwin Blumenfield e Horst P. Horst). Commissionò anche numerosi servizi di attualità a diversi fotografi e alla sua corrispondente di guerra Lee Miller che produsse delle testimonianze visive strazianti divenute celebri per la loro accuratezza.

Quando la seconda guerra mondiale finì, il modello di vita americano si affermò come esempio a cui aspirare e Vogue fu tra i suoi portavoce. Ecco cosa si legge su un cartello nella mostra: “Questo modello di vita americano è in realtà imposto e una grande pressione sociale impone di conformarsi ad esso. Per la maggior parte delle persone, tale modello offre una struttura confortevole in cui costruire o ricostruire la propria vita, ma per le minoranze rappresenta un promemoria costante e gravoso della loro differenza. La “normalità” si definisce nell’immagine della coppia bianca proveniente dalla classe media, sposata e con figli. Il marito lavora e la donna bada alla casa. Questa narrazione, replicata incessantemente dal cinema, dalla televisione e dalla pubblicità, impregna tutta la società. Tuttavia, sotto una patina di affidabilità apparente, questa finzione contribuisce a celare una società misogina e razzista, omofoba e incline alla persecuzione politica. Delle 43 fotografie selezionate per questo decennio, infatti, solo una rappresenta una persona nera. Si tratta di un ritratto scattato da Irving Penn a Willie Mays, una leggenda del baseball americano. La scarsa presenza di afroamericani sulle pagine di Vogue negli anni 50 non è un caso. Nonostante Liberman avesse ingaggiato il fotografo afroamericano Gordon Parks nel 1948, i modelli neri comparivano raramente sulla rivista poiché i redattori temevano di perdere lettori e sponsor, specialmente negli ambienti più conservatori.”

Quello appena citato è uno degli esempi più evidenti di come le fotografie delle testate Condé Nast avessero uno sguardo selettivo sulla realtà e contribuissero a creare degli standard a cui riferirsi.

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Diane & Allan Arbus, Kathy Slate with doll in baby carriage, 1953, Vogue © Condé Nast

Per tutti gli anni ’50 Vogue conobbe un successo straordinario. L’obiettivo della nuova caporedattrice Jessica Daves era quello di aiutare le donne a “creare un senso del bello, nutrire la mente, stimolare la fantasia.” Il pubblico si era ormai allargato e Vogue si rivolgeva anche alle casalinghe della classe media delle piccole città statunitensi, offrendo loro un’evasione dalla banalità del quotidiano.

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Iriving Penn, Lisa Fonssagrives-Penn lying in a field of grass, reading Gertrude Stein’s Picasso book, 1952, Vogue © Condé Nast

Diane Vreeland fece il suo ingresso ai vertici di Vogue nel 1963, affronterà i grandi temi degli anni ’60: il femminismo, la controcultura, i movimenti pacifisti e quelli per i diritti civili, l’esplorazione dello spazio, la guerra fredda, la presidenza di Kennedy e gli eventi del maggio del 1968. In questa sezione possiamo vedere ancora più chiaramente l’origine della cultura della celebrità nella quale siamo immersi ancora oggi. I divi di Hollywood, gli artisti, gli scrittori e gli sportivi posano per i grandi fotografi con una cosa in comune: sono famosi e le loro foto su Vogue li renderanno ancora più famosi. In questo decennio, i ritratti diventano meno severi e si sviluppa una libertà nelle pose che dona una freschezza prima sconosciuta.

La mostra arriva fino al 1979 e non si spinge oltre. Molte delle fotografie degli archivi Condé Nast che si possono ammirare a Palazzo Grassi non erano state pubblicate e vengono esposte per la prima volta. L’occasione vale una visita attenta per riflettere su come le testate di Condé Nast, fin dalla loro nascita, abbiano incoraggiato la carriera di tanti fotografi, permesso la sperimentazione nei ritratti e – di fatto – provocato la nascita della fotografia di moda. Senza quella committenza importante, la fotografia si sarebbe evoluta diversamente e – probabilmente – anche la nostra società.

DAVID BAILEY, Model in a Balenciaga wedding dress
David Bailey, Model in a Balenciaga wedding dress, 1967, Vogue © Condé Nast

Chronorama, tesori fotografici del 20° secolo
Palazzo Grassi
Campo San Samuele 3231, Venezia
Vaporetto: San Samuele, Sant’Angelo
In mostra fino al 7 gennaio 2024
Aperte tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 19


Enzo Dal Verme
Workshop Ritratto

Enzo Dal Verme
Enzo Dal Verme è un fotografo conosciuto per avere ritratto celebrità come Donatella Versace, Laetitia Casta, Marina Abramovic, Bianca Jagger, Wim Wenders. Le sue immagini sono state pubblicate da Vanity Fair, l'Uomo Vogue, The Times, Marie Claire, GQ e tante altre riviste. I reportage scattati da lui sono spesso legati ad iniziative sociali, come la serie di ritratti di Eroi Urbani realizzati in Asia, Europa, America, Africa e Medio Oriente. Prima di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia ha diretto la sua agenzia di comunicazione. Ha poi insegnato comunicazione all’Istituto Marangoni di Milano e Londra, allo IED di Milano, all’Ateneo Impresa di Roma e al Sole 24 Business School di Milano. Dal 2011 insegna i suoi fortunati workshop di ritratto nel corso dei quali gli studenti allenano la propria sensibilità ed esplorano il rapporto tra fotografo e soggetto. Collabora con la società olandese Science Of The Times per le ricerche sulle evoluzioni delle mentalità finalizzate all’innovazione nella comunicazione. Alla sua attività di fotografo commerciale, affianca una programmazione di mostre con i suoi lavori più personali. Enzo ha esposto in diverse gallerie in Italia e all’estero e in alcuni festival tra cui Alrles. Ha pubblicato negli Stati Uniti il libro Storytelling For Photojournalists e in Italia Marketing Per Fotografi. Pubblica regolarmente su Tutti Fotografi degli articoli di approfondimento sulla professione del fotografo. Ama il tofu ?
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