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Fotografia.it

Lo strano caso dell’Ungheria e del fotogiornalismo

Se andate in Ungheria, i casi sono due: o chiedete il permesso a tutti, o fotografate solo gente di spalle.

Francesco Carlini | 18 Marzo 2014

Premessa: in molti, anzi in quasi tutti i Paesi, esiste una legge che tutela la privacy e soprattutto l’integrità dell’immagine delle persone. Anche da noi. Chiaramente poi lo scontro su ciò che sia lecito o meno fotografare, piuttosto che uno scatto sia lesivo della buona fama di qualcuno o meno, è tutto da valutare. Ci sono delle sedi apposite, ci sono i tribunali, c’è il buonsenso.

Quello che però accade oggi in Ungheria va forse un po’ al di là del puro e semplice buonsenso..anzi, il buonsenso è stato proprio accantonato, lasciando spazio alla “semplicità di risoluzione” di una possibile diatriba, ignorando totalmente il lavoro non solo del fotoreporter, ma in molti casi anche dell’ignaro turista. Anche a discapito della libertà personale.

Ma quindi cosa sta succedendo? Succede che da ora in poi le foto ai mercatini natalizi di Budapest potreste non poterle fare mai più.
Una legge di pochi giorni fa, esattamente in vigore dal 15 marzo, ha stabilito che i fotografi non possono scattare senza avere il permesso dei soggetti ripresi, per tutelare il “Right to one’s likeness”. Fino a qui non ci sarebbe neanche nulla di strano, chiedere il permesso non è solo una forma di gentilezza, ma anche una questione di rispetto per la persona che ci sta di fronte e per valorizzare il nostro lavoro; è impensabile che qualcuno si prodighi in simil-agguati in mezzo alla strada (magari uscendo da qualche cespuglio) a sconosciuti per rubare uno sguardo, un’espressione o anche solo una movenza..e poi scappare. Quindi il problema qual’è? Il problema è che il permesso da ora andrà chiesto a tutti. Ma proprio tutti, non solo ad una singola persona per eseguire un ritratto, ma anche in tutte quelle fotografie che contengono una moltitudine di persone in una piazza, per esempio. La soluzione per il Codice Civile Ungherese sarebbe in questo caso quella di, prima di imbracciare la fotocamera, andare a chiedere singolarmente ad ognuno il permesso. Una pazzia.

Eccezioni?
Solo due: “personaggi famosi in uscite pubbliche” e scatti della “folla”.
Il termine “folla” non garantisce la sicurezza a nessuno però, in quanto folla può essere considerata sia una manifestazione che una piazza molto grande e gremita. Come valutare quindi il giusto caso? Come si può determinare quale piazza possa considerarsi frequentata da una folla o solamente da molti passanti? Diciamo che i parametri sono un po’ labili. Senza contare che l’altra eccezione, quella riguardante i personaggi famosi o conosciuti dai più, andrebbe ad inquadrare una situazione limite: si potrebbero riprendere solo in situazioni istituzionali, cioè per ritirare un premio se parliamo di attori, cantanti o celebrità, e impegni di Governo se invece intendiamo politici. L’inghippo del caso? Se il nostro personaggio famoso si troverà sotto casa sua e non ad una manifestazione pubblica, non si potrà fotografare. E non si potranno fotografare di conseguenza le persone di contorno, teniamolo a mente.

La morte del fotogiornalismo.

Non dimentichiamoci poi, appunto, gli intrecci dei casi.

Esempio: personaggio famoso in apparizione pubblica ma in luogo chiuso frequentato da gente “normale”.

Soluzione: richiesta del permesso di fotografare a tutti gli astanti e, solo dopo, scatto al personaggio famoso.

Ma molto spesso si sa, non si ha il tempo materiale per chiedere una liberatoria in loco..la soluzione? Un bel quadratone nero di censura o un bello sfocato sui volti che compariranno, cioè in molti casi sul 90% dell’immagine. Bello. Ah, le forze dell’ordine sono state equiparate alla popolazione, quindi non sono immortalabili, anche se stanno eseguendo il loro lavoro (che è un servizio pubblico, ricordiamolo. E ricordiamo anche che chi svolge il lavoro di forza dell’ordine dovrebbe essere SEMPRE riconoscibile).

Per non parlare della streetphotography, impossibile da eseguire. E soprattutto, cosa molto importante, impossibile da condividere sui social.

Photo © Viktória Árva-Tóth

Photo © Viktória Árva-Tóth

Ma cosa cambia allora dalla normativa precedente che prevedeva la liberatoria per l’utilizzo della foto?
La differenza è sostanziale e importantissima, e si fonda sulla diversità di terminologia utilizzata (come sempre, nella legge): la richiesta di liberatoria per l’utilizzo avviene solitamente dopo lo scatto, qui si previene il problema ponendo il divieto di scattare senza prima avere il consenso.

Chiariamoci, questo divieto esiste se la foto sarà poi resa pubblica, non certo se finirà in un album di famiglia. E chiariamo anche un’altra cosa: questo divieto non va a toccare solo i professionisti, ma anche tutte le persone normali, sia gli abitanti ungheresi che i milioni di turisti che calcano lo stesso suolo. È però altrettanto chiaro che, siccome gli album di famiglia sono sempre più tendenti al virtuale, questa accortezza dovrà essere fatta propria da tutti noi, prima di qualsiasi viaggio in Ungheria: Facebook, Twitter, Instagram e tutti i social network che possono venirvi in mente, sono compresi. Se la foto fosse notata da uno dei “ripresi” partirebbe il risarcimento danni. Automatico. Sì, perché questa nuova normativa pone ad evitare tutti i dilungamenti dei processi e quelli dovuti alle verifiche del caso. Perché qui c’è un vero e proprio divieto a monte, non si andrà più a controllare se la foto è discriminatoria o meno, se è lesiva nei confronti del ripreso o meno: si sarà puniti solo per il fatto di averla eseguita e poi resa pubblica.

[Come sarebbe ora] Robert Capa, 'Watching the Tour de France in front of the bicycle shop owned by Pierre Cloarec, one of the cyclists in the race, Pleyben, Brittany, France' (July, 1939)

[Come sarebbe ora] Robert Capa, ‘Watching the Tour de France in front of the bicycle shop owned by Pierre Cloarec, one of the cyclists in the race, Pleyben, Brittany, France’ (July, 1939)

Per cui, se andate in Ungheria, i casi sono due: o chiedete il permesso a tutti, o fotografate solo gente di spalle.

Molto probabilmente è a questo che ci sta portando la smart generation di oggi, fatta di smartphone, tablet e da domani anche di Google Glass e prodotti simili. O forse le motivazioni sono altre e sono messe lì per limitare la libertà di qualcuno in particolare?

Francesco Carlini
In primis appassionato di fotografia, dal 2008 faccio parte del team di Editrice Progresso, storica casa editrice italiana fondata nel 1894, e gestisco il sito www.fotografia.it. Al lavoro redazionale e giornalistico nel corso degli anni ho affiancato il lavoro di prova dei prodotti e delle misurazioni di laboratorio riguardanti fotocamere, obiettivi e smartphone.
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