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Fotografia.it

Come realizzare un dagherrotipo con una reflex a pellicola

Redazione fotografia.it | 5 Dicembre 2020

Il George Eastman Museum ha appena pubblicato su Youtube, nella playlist Darkroom Magic, questo breve video di 5 minuti che spiega come realizzare in sicurezza un dagherrotipo 35mm senza essere costretti ad utilizzare sostanze chimiche pericolose o attrezzature costose.

Il dagherrotipo richiede una lastrina di rame ricoperta di uno strato di argento relativamente spesso (non basta l’argentatura tipica delle gioiellerie, ci vuole qualcosa di più perché poi se ne perde una parte con la lucidatura a specchio). Si lucida la piastrina prima con quella che gli americani chiamano “rotten stone” e noi italiani “tripoli”, una polvere di diatomee che serve come debole abrasivo, bagnando leggermente il feltro con olio di oliva.

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Quella che gli americani chiamano “rotten stone” e noi italiani “tripoli”

Successivamente si passa alla lucidatura “a specchio” con una polvere molto più fine. Nella dimostrazione a video è stato usato il nerofumo, ma può essere usato anche l’ossido di ferro. Segue la sensibilizzazione con iodio. Per avere una sensibilità maggiore si fa seguire alla fumigazione con iodio una con bromo; quest’ultimo è molto aggressivo, quasi quanto il cloro, perciò è una fase da eseguirsi solo in condizioni di sicurezza. Nella dimostrazione a video non è stata fatta. La piastrina sensibilizzata viene inserita nella fotocamera ed esposta a una luce che contenga UV, altrimenti non si impressiona. L’obiettivo di una reflex ha tanto di quel vetro che una buona parte degli UV viene filtrata e quindi i tempi si allungano molto; ovviamente l’unico modo per determinare il tempo di esposizione è andare per tentativi.

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Inserimento della lastrina sensibilizzata nella reflex

Lo sviluppo di un dagherrotipo classico avviene con i vapori caldi di mercurio, ovviamente pericolosi. Per aggirare l’ostacolo qui si suggerisce di sviluppare con il metodo Becquerel, cioè esponendo il dagherrotipo alla luce del sole filtrata con un filtro rosso. Una volta sviluppato il dagherrotipo viene fissato con l’iposolfito, poi lavato e sottoposto al “gilding”, cioè la patinatura con cloruro d’oro per preservare l’argento dagli agenti atmosferici. Per una conservazione definitiva lo si sigilla sotto vetro.

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Il risultato finale

Parliamo del metodo Becquerel nel numero 109 di Classic Camera Black&White, soprattutto nell’articolo dedicato a Jalo Porkkala.

Redazione fotografia.it
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