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Fotografia.it

Ernst Leitz e il progetto segreto “Leica Freedom Train”.

Francesco Carlini | 27 Gennaio 2014

Leica è sicuramente un brand famoso a livello mondiale. Se le fotocamere Leica, simbolo dell’eccellenza ingegneristica Made in Germany, sono conosciute anche da chi non è appassionato di fotografia – in quanto testimoni di un secolo – c’è una storia legata all’Azienda tedesca che non tutti conoscono.
Il Leica Freedom Train ha rappresentato il tentativo di Ernst Leitz II e di sua figlia Elsie Kuehn-Leitz di aiutare centinaia di ebrei tedeschi ad abbandonare la Germania nazista, a pochi mesi dall’ascesa al potere di Adolf Hitler, nel 1933.

Quando Hitler divenne Cancelliere, Ernst Leitz II, figlio del fondatore delle Optische Werke Ernst Leitz, iniziò a ricevere strazianti lettere e telefonate da parte dei suoi collaboratori ebrei che gli chiedevano aiuto per sé e per le proprie famiglie.

Fu a questo punto che Leitz, di famiglia non ebrea e quindi non soggetta alle Leggi di Norimberga, decise di mettere in atto un progetto segreto, denominato appunto Leica Freedom Train, per salvare quanti più ebrei possibile dalle persecuzioni naziste. Il piano sembrava abbastanza semplice ma, se fosse stato scoperto, avrebbe potuto portare a conseguenze drammatiche per tutte le persone coinvolte. Leitz aiutò numerosi ebrei a lasciare il Paese grazie ad una motivazione apparentemente semplice: un trasferimento all’estero per motivi di lavoro. I dipendenti della sua Azienda, le loro famiglie e talvolta anche i loro amici furono infatti “assegnati” da Leitz ai reparti vendite, dislocati principalmente negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra e Hong Kong. Gli sforzi di Leitz si intensificarono in particolar modo dopo la Kristallnacht – La Notte dei Cristalli – nel novembre del 1938, durante la quale molti ebrei furono uccisi, mentre in tutta la Germania i loro edifici, i negozi e le sinagoghe furono saccheggiate e date alla fiamme.
Oltre a pagare tutti i costi dei trasferimenti, Leitz prima della partenza fece dono a ciascun dipendente di una macchina fotografica Leica che, in caso di bisogno, avrebbero potuto rivendere per avere contanti. Giunti a New York, i rifugiati furono accolti negli uffici e nello showroom Leitz sulla 5th Avenue, a Manhattan, dove ricevettero aiuto per trovare un posto di lavoro, una casa e tutto ciò di cui avessero bisogno per  iniziare la loro nuova vita. A quelli che incontrarono delle difficoltà nel trovare un lavoro venne offerto un assegno di sussistenza. Tra tutte queste persone, molti divennero progettisti, tecnici di riparazione, addetti alle vendite, addetti marketing e persino scrittori di libri di fotografia.

Il Leica Freedom Train viaggiò per tutto il 1938 fino ai primi mesi del 1939, trasportando ogni settimana gruppi di rifugiati in tutto il mondo. Fu soltanto con la l’invasione della Polonia da parte delle armate tedesche il 1 settembre 1939 che i confini del Paese furono ufficialmente chiusi e Leitz dovette rinunciare al suo lodevole progetto.
L’intera vicenda non sarebbe mai venuta alla luce, se non fosse stato per la ricerca condotta da un rabbino nato in California e residente in Inghilterra. Scritto da Frank Dabba Smith e pubblicato nel 2002 dalla American Photographic Historical Society, “The Greatest Invention of the Leitz Family: The Leica Freedom Train” descrive dettagliatamente gli sforzi compiuti dalla famiglia Leitz per contrastare una tra le più grandi tragedie della storia. Quando l’Anti-Defamation League premiò postumo Ernst Leitz II con la Courage to Care Award nel 2007, il direttore di ADL Abraham Foxman disse: “Rischiando in maniera considerevole, e in spregio della politica nazista, Ernst Leitz intraprese azioni coraggiose per sottrarre dal pericolo i suoi dipendenti ebrei e altre persone. Se solo ci fossero stati più Oskar Schindler, più Ernst Leitz, sarebbero morti meno ebrei.”
Anche se non c’è modo di sapere con precisione quante persone Ernst Leitz riuscì a salvare, si conoscono i rischi che ha corso per se stesso e per la propria famiglia.
La storia di questo nuovo Schindler è emersa solo qualche anno fa, l’industriale tedesco non parlò mai del suo impegno, nemmeno con i familiari o quando fu accusato di collaborazionismo. Fu il figlio di Leitz, Günther, a rompere il silenzio dichiarando in un’intervista: “Mio padre ha fatto quello che ha fatto perché si sentiva responsabile per i suoi lavoratori, per le loro famiglie e per i nostri vicini a Wetzlar.”

Francesco Carlini
In primis appassionato di fotografia, dal 2008 faccio parte del team di Editrice Progresso, storica casa editrice italiana fondata nel 1894, e gestisco il sito www.fotografia.it. Al lavoro redazionale e giornalistico nel corso degli anni ho affiancato il lavoro di prova dei prodotti e delle misurazioni di laboratorio riguardanti fotocamere, obiettivi e smartphone.
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