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Fotografia.it

Vita da fotografo – Un viaggio nel Vietnam in guerra, storia di uno scoop mancato

Viaggio nel Vietnam in guerra.

Redazione fotografia.it | 17 Maggio 2023

E’ la prima volta che queste immagini sono pubblicate; non era perché volessi tenere la cosa segreta, semplicemente ai tempi questo servizio non interessava ai giornali ed è quindi rimasto chiuso in un cassetto per ben 48 anni.

Una giovane donna investita sulla QL1: la vittima fu spostata e buttata nel fosso lungo la strada, poi tutti via a “tutto gas”.
Una giovane donna investita sulla QL1: la vittima fu spostata e buttata nel fosso lungo la strada, poi tutti via a “tutto gas”.

Il reportage è stato fatto a quattro mani, le mie e quelle di Ennio Jacobucci, probabilmente uno dei più grandi fotografi italiani di guerra degli anni Settanta. Avevo conosciuto Ennio a Saigon nel 1968; io ero un pivellino, lui un fotografo affermato e in Vietnam era una leggenda. Arrivato nel 1966, non se ne andò via fino a marzo 1975 documentando le partenze caotiche dei civili che scappavano dai tetti dei palazzi, prelevati dagli elicotteri.
Ennio ha dato una mano a tutti i giornalisti e fotografi italiani che passavano da Saigon in quegli anni.

Ci aveva presentato un funzionario dell’Ambasciata italiana con cui avevamo bevuto un paio di birre nella terrazza dell’hotel Continental e quando ci siamo salutati ci siamo detti la solita frase “ci sentiamo”. Ai tempi, come sapete, non c’erano telefonini e email e l’unico modo per tenere i contatti erano le lettere, magari un paio all’anno giusto per raccontarci le nostre avventure. Ennio non era un tipo di tante parole, figuriamoci scrivere! Le sue lettere non superava la mezza pagina.

Ennio mi raggiunge in Italia

Poi nella primavera del 1973 mi scrisse che stava venendo in Europa e che sarebbe passato dall’Italia per andare a trovare i suoi parenti a Roma, per poi venire a Milano. Gli risposi che potevo ospitarlo; vivevo in un bilocale diviso a metà tra abitazione e ufficio: sala da pranzo, salotto, guardaroba e camera da letto da una parte, ufficio dall’altra. E c’era anche una brandina da campeggio che poteva essere sistemata nell’ufficio come fosse una camera degli ospiti. Non era il Ritz, ma era gratis.

Quang Tri, la nostra meta. La sponda est del fiume Song Trach Han che divide la città era anche la fine della repubblica del Sud Vietnam. Una macabra scultura tra le rovine.
Quang Tri, la nostra meta. La sponda est del fiume Song Trach Han che divide la città era anche la fine della repubblica del Sud Vietnam. Una macabra scultura tra le rovine.

L’idea del viaggio dopo due bottiglie di buon vino

Andammo a cena e dopo due bottiglie di buon vino progettammo un viaggio in auto da Saigon a Quang Tri, che era il punto più a nord controllato dal governo sud-vietnamita; al di là del fiume Song Thach Han c’era l’esercito nord-vietnamita, che faceva gran sfoggio di bandiere. Tra marzo e ottobre del 1972 la città era passata di mano più volte, con battaglie sanguinose e circa 150.000 caduti.

 La nostra Dalat nella strada piena di buche e fango dopo un acquazzone.
La nostra Dalat nella strada piena di buche e fango dopo un acquazzone.

Il mattino dopo, davanti a biscotti e caffè, anziché dimenticare l’idea, come si fa di solito quando si abbassa il tasso alcolico, tirammo fuori una cartina e incominciammo a fare un piano concreto. L’idea ci sembrava interessante: due fotografi italiani in giro per un paese in guerra sull’orlo del collasso, praticamente abbandonato dall’alleato principale. Non c’erano molte foto della vita civile del paese e non ci risultava qualcuno avesse fatto una cosa simile. Avremmo percorso circa duemila chilometri tra andata e ritorno sulla QL1 (Abbreviazione dal Vietnamese: Quốc lộ 1, National Route 1): sicuramente moltissimi soggetti da fotografare con ottimi spunti per un grande reportage. Eravamo convinti che sarebbe stato di grande interresse per i giornali e ci saremmo ripagati abbondantemente.

 Il primo posto di blocco con tanto di carro armato, da qualche parte a nord poco dopo Saigon; Ennio, al centro, chiede informazioni ai soldati sud-vietnamiti.
Il primo posto di blocco con tanto di carro armato, da qualche parte a nord poco dopo Saigon; Ennio, al centro, chiede informazioni ai soldati sud-vietnamiti.

La partenza

Il viaggio fu davvero coinvolgente; grazie ai contatti di Ennio saltò fuori una Citroen Mehari di plastica che in Vietnam si chiamava Dalat e non superava i 110 km orari in discesa, e con il vento a favore. Partimmo un mattino e capimmo subito che se anche avessimo avuto una Ferrari i tempi di percorrenza sarebbero stati gli stessi: due minuti circa a chilometro con strada libera ma realisticamente facevamo circa 20 km in un’ora, senza contare il tempo perso ai posti di blocco dell’esercito sud-vietnamita che erano molti e lenti.

Tra forature e soste notturne

C’era poi il problema delle forature: oltre al tempo impiegato per cambio della gomma c’era l’inevitabile sosta dal gommista. Mentre la benzina e il cibo non erano un problema, l’incubo quotidiano era la ricerca dell’albergo per la notte, non tanto per la stanza che ci andava sempre bene, il problema vero era dove mettere l’auto per la notte per poterla ritrovare al mattino! Dopo le prime due sere, scoprimmo che il modo più sicuro era pagare qualcuno che vi dormisse dentro mentre noi per sicurezza ci tenevamo la sua carta d’identità fino al mattino; se poi ce la lavava avrebbe avuto un compenso extra.

 Ennio cambia una gomma: facevamo una foratura a testa.
Ennio cambia una gomma: facevamo una foratura a testa.

A volte la strada veniva bloccata perché era in corso un combattimento, ma grazie alle nostre tessere stampa (Bao Chi) potevamo passare. Peccato o per fortuna, tra una cosa e l’altra siamo sempre arrivati alla nostra meta quando ormai era tutto finito.

Una volta abbiamo anche sbagliato strada e, dopo aver percorso qualche chilometro tra gigantesche buche e fango che impantanava l’auto, siamo spuntati dietro a un posto di blocco dell’esercito governativo con tanto di carro armato: erano meravigliati di vederci vivi pechè avevamo attraversato una zona Viet Cong. Era forse colpa nostra se non c’erano cartelli?

Capitava spesso di sbagliare strada e di dover chiedere informazioni; per fortuna Ennio parlava il vietnamita e non ci siamo persi più di tanto
Capitava spesso di sbagliare strada e di dover chiedere informazioni; per fortuna Ennio parlava il vietnamita e non ci siamo persi più di tanto
Capitava spesso di sbagliare strada e di dover chiedere informazioni

Il ritorno

Dopo cinque giorni, arrivammo ai ruderi di Quang Tri e tornammo a Saigon impiegando un giorno in meno; eravamo tornati al quasi lusso dell’hotel Continental, fieri del nostro viaggio, delle foto scattate e convinti di essere diventati un po’ meno poveri.

Purtroppo le cose andarono in modo diverso; girammo tutte le redazioni, ma senza gli USA il Vietnam non interessava più a nessuno, era ormai acqua passata.

 sinistra Ennio Jacobucci, a destra Guido Alberto Rossi mentre “ripuliscono” la fotocamera.
sinistra Ennio Jacobucci, a destra Guido Alberto Rossi mentre “ripuliscono” la fotocamera.

Ennio morì a Roma nel 1977 e tutto il suo magnifico archivio, comprese le foto del nostro scoop, andò perduto.


Testo e foto di Guido Alberto Rossi


Articolo tratto da:

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192 pagine con 356 foto
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