Ricordate la storia di Vivian Maier? Ora si ripete con Masha Ivashintsova.
Alla fine del 2017 Asya Ivashintsova stava facendo dei lavori nella sua casa di San Pietroburgo quando trovò una scatola di sua madre, Masha, morta nel 2000. La scatola conteneva 30.000 fotografie, tra stampe e negativi oltre a lettere e diari.
Nata nel 1942, Masha Ivashintsova cominciò a fotografare a diciotto anni per le strade di Leningrado ma non mostrava mai le sue foto, alcune nemmeno le sviluppava: “Credeva che il suo lavoro non fosse all’altezza di quello degli uomini che frequentava e non mostrò a nessuno i suoi lavori fotografici” racconta la figlia. Le immagini di Masha documentano la vita nell’Unione Sovietica e nella Russia post-comunista dagli anni Sessanta alla fine degli anni Novanta.
Dopo la separazione dal marito Masha tornò a Leningrado (San Pietroburgo) dove frequentò gli ambienti letterari e artistici e fece i lavori più vari, dalla bibliotecaria alla guardia di sicurezza, all’addetta al guardaroba. Ebbe relazioni con alcuni intellettuali come il poeta Viktor Krivulin e il fotografo Boris Smelov; fu Boris a regalarle la fotocamera Leica che Masha avrebbe usato per tutta la vita.
Nel 1981 Ivashintsova fu colpita da una grave depressione e per dieci anni, prima di morire, passò da un ospedale psichiatrico all’altro, ma non smise mai di fotografare.
Nel 2018 la figlia Asya Ivashintsova creò un sito internet e un profilo Instagram per far conoscere il lavoro della madre e sta organizzando una mostra a Vienna.
