X
Entra
Accedi
Ho dimenticato la password
X
Se il tuo indirizzo è presente nel nostro database riceverai una mail con le istruzioni per recuperare la tua password

Chiudi
Reset password
Inserisci il tuo indirizzo email nella casella sottostante e ti invieremo la procedura per resettare la password
Invia
X
Grazie per esserti registrato!

Accedi ora
Registrati
Registrati
Ho dimenticato la password
Fotografia.it
fotopuntoit_g-a-rossi_formula-1_2

Box a Monza. 1967

Vita da fotografo – Come ho superato la recinzione del circuito di Monza

Nel 1966 Guido Alberto Rossi ottenne il Press Pass per i box del Gran Premio di Formula 1 di Monza: era la sua grande occasione. Da quel giorno iniziò la sua collaborazione con Lo Sport Illustrato della Gazzetta dello Sport.

Redazione fotografia.it | 1 Settembre 2023

A volte mi chiedono: perché hai fatto (lo faccio ancora) il fotografo? La risposta per tagliar corto è: perché non mi piaceva andare a scuola! Ma non è proprio vero, magari solo al 30%, il restante 70% è qualcosa che non è facile da spiegare senza sembrare un santone indiano: provo a farlo e spero di riuscirci.

Tutto inizia con la prima macchina fotografica Kodak a soffietto trovata a casa dei nonni: è un comune denominatore per tanti colleghi, ma nel mio caso è vero solo in parte perché quando i nonni si sbarazzarono della loro vecchia Kodak io ero già stato contaminato dal virus della fotografia da mio padre Gino, fotoamatore evoluto e specializzato nelle immagini delle nostre trote pescate e immortalate in tutti i sensi insieme agli oggetti di casa più vari a creare ingenue nature morte. Ma aldilà degli scatti, con mio padre ci divertivamo anche a sviluppare i negativi e a stamparli in camera oscura: eravamo arrivati fino a sviluppare i rullini di diapositive a colori. Poi come tutti i fotoamatori che si rispettino c’è il lato della attrezzatura: man mano che lui potenziava le sue due Leica con nuovi obiettivi io ricevetti la Agfa Silette 35mm (lasciando la Kodak a soffietto): è stato il più bel regalo ricevuto prima del motorino!

Il virus della fotografia e la passione per viaggi e motori

Il virus della fotografia è qualcosa che ti prende e non ti molla più; se poi diventa come nel mio caso anche la professione, allora è ancora più complicato e non hai speranza di guarire, anzi ti contamini sempre di più. Oltre che a quello che ti piace dovrai scattare anche quello che non ti piace, altrimenti non guadagni e non paghi le bollette. Comunque credo sia sempre importante scattare con il cuore e sempre con il proprio stile; del resto ogni virus ha le sue caratteristiche: c’è chi si ammala di fotogiornalismo, chi di still-life, chi di foto di gastronomia o arredamento e così per altre decine di specializzazione di quella che reputo una delle più belle professioni del mondo. Magari solo la più divertente.

fotopuntoit_g-a-rossi_formula-1_5
Graham Hill, 1966, Monza

In genere chi prende uno di questi virus lo prende in giovane età e magari per mille ragioni. Nel mio caso la passione per la fotografia di reportage e viaggi è stata sicuramente influenzata dall’abbonamento al mitico National Geographic Magazine che entrava in casa nostra dal 1949, praticamente da quando sono nato; poi c’erano anche dei libri di viaggio illustrati e senza quasi rendermene conto mi sono trovato con una macchina fotografica e una valigia in mano. Non iniziai subito a viaggiare perché avevo solo 16 anni, così iniziai a fotografare quella che allora era la mia seconda passione: il motorsport, cioè auto e moto da corsa, ovviamente da dietro la recinzione del circuito di Monza insieme al mio amico Amatore Bianchi, anche lui patito di fotografia e auto: scattavamo come matti e alla sera sviluppavamo e stampavamo nella camera oscura ricavata nel bagno di servizio.

I primi passi nella professione

Da hobby a professione il mio salto fu abbastanza breve e fortunato. Era l’agosto del 1966, quando, come nostro vicino d’ombrellone ai bagni Imperatrice di San Remo, arrivò il giornalista Alberto Ballarin: facemmo amicizia e gli raccontai che il mio sogno era di fare il fotografo professionista. A differenza di altri ragazzini non ho mai voluto fare né il cowboy né il pompiere. Ovviamente in vacanza non avevo portato le mie foto, ma solo le inseparabili Leica ereditate da mio padre. Alberto che allora era vicedirettore de Lo Sport Illustrato, il periodico della grande Gazzetta dello Sport, si incuriosì e mi invitò ad andare a trovarlo in redazione al rientro a Milano con le mie foto. Detto fatto!

fotopuntoit_g-a-rossi_formula-1_3
John Surtees, 1966, Monza

Andai subito a trovarlo; gli mostrai le mie foto e come per magia mi trovai in mano un Press Pass per i box del Gran Premio di formula uno di Monza che si correva pochi giorni dopo. Pura magia! Sarei passato da dietro a davanti la recinzione del circuito. Era la mia grande occasione e scattai come un matto a tutti i piloti e a tutte le macchine: una per forza avrebbe dovuto vincere! Vinse Ludovico Scarfiotti su Ferrari e Alberto mi comprò il primo reportage che fu pubblicato anche con tanto di copertina.

Da quel giorno la collaborazione con Lo Sport Illustrato divenne per me più importante del Liceo linguistico.


Testo e foto di Guido Alberto Rossi


Redazione fotografia.it
  • Cerca

  •  

  • Ultime News